«Aurico o Bermudiano?...»
(Di Gian Marco Borea)
 

In questi ultimi tempi, in cui si comincia a mettere in dubbio molte delle tendenze che hanno caratterizzato l'evoluzione, negli ultimi cento anni, delle imbarcazioni da crociera a vela, sembra che la forma della attrezzatura, oltre che quella degli scafi, sia oggetto di forti critiche.

La regata, il puro agonismo, hanno portato a notevoli progressi la vela, sia dal punto di vista progettuale, che da quello tecnologico. Nuovi materiali, quali in particolare quelli sintetici, hanno offerto opportunità immense, sia per la maggiore solidità e durata, riduzione nella manutenzione e conseguente economia, sia per taluni rendimenti ai fini della efficienza. Già la celebre "America" negli anni a metà del secolo scorso, si era presentata alle regate, stravincendo, in Inghilterra, con vele di tessuto speciale di cotone, a tessitura e trama più fitta ed omogenea delle vele fin allora in uso, dimostrando una grande efficienza aerodinamica, per la loro impermeabilità all'aria, indeformabilità, oltre al "taglio" molto avanzato per i tempi. E bisogna notare che a quei tempi gran parte delle conoscenze ed esperienze aerodinamiche erano totalmente ignorate. Non era ancora sorta la scienza e la sperimentazione dovuta all'avvento della navigazione aerea, e gli studi approfonditi sui profili alari dovevano in effetti svilupparsi con l'enorme balzo verificatosi nell'aeronautica fra il 1910 ed il 1930.

Se la competizione, la regata, hanno dopo il 1920 registrato un reale progresso nella progettazione velica, al fine di ottenere una prestazione migliore in termini di pura velocità e possibilità di stringere il vento, e dopo gli anni '30, con l'evoluzione dello "spinnaker" anche nelle andature portanti, tuttavia le formule, inventate a scopi agonistici, per far competere sportivamente alla pari imbarcazioni spesso molto diverse, hanno penalizzato la superficie velica, quale fattore preminente di produzione di energia cinetica.
Le conoscenze acquisite in aeronautica dimostravano che, per ottenere maggior efficienza (aerodinamica delle basse velocità, come quelle registrabili in una imbarcazione a vela, che può solo sfruttare flussi d'aria molto lenti, confrontati a quelli di un aereo), un "bordo di attacco" molto allungato, per una incidenza minima, crea forze maggiori a parità di superficie. Ciò ha portato a uno sviluppo in altezza dei piano velico, con una forte riduzione della superficie, ottenendo sensibili vantaggi a parità di superficie esposte nel computo delle formule, supplendo alle deficienze della ridotta superficie nelle andature portanti mediante l'uso e lo sviluppo di spinnaker e fiocchi, meno penalizzati dalle stesse.
Questa tendenza sorta per lo sfruttamento delle formule di regata, non ha però giustificazione su imbarcazioni che vengono impiegate per pura crociera. Gli alberi, sempre più alti e fini, per esigenze aerodinamiche nelle andature di bolina, sono divenuti sempre più delicati, oltre a offrire, quando si è costretti a ridurre vela per la forza del vento, resistenze e sforzi che hanno sempre più di frequente causato rotture ed avarie di carattere meccanico.

Le esigenze, invece, di una barca da crociera, sono ben diverse: le limitazioni dovute alle formule da regata, intese per rendere il più possibile livellati i rendimenti tecnici e teorici, penalizzando i fattori favorevoli alla velocità, e favorendo quelli inversi, non sono più preminenti. Pertanto la superficie velica non è più soggetta a limitazioni (fattore favorevole alla velocità), né è più richiesto di dover esasperare la lunghezza del lato di inferitura, per aver miglior prestazioni di bolina, ma perdendo in efficienza nelle andature portanti, da compensare con fiocchi di maggior rendimento e spinnaker costosi, di difficile maneggio per un equipaggio di normali forze e capacità tecniche. Ne consegue che non sarà più necessaria un'alberata altissima, delicata e che aggiunge sforzi a tutte le strutture, comprese quelle dello scafo.

Queste considerazioni hanno rallentato, nelle barche da pura crociera, per molti anni il passaggio dall'armo aurico a quello detto bermudiano o marconi. Solo nei tardi anni '30 l'armo bermudiano si è imposto anche sulle barche da crociera, per vari motivi. Uno è stata la moda, come spesso avviene. Il fascino delle barche da regata, che davano risultati sorprendenti di velocità ed efficienza nelle andature di bolina, anche perché i loro scafi erano progettati per ottenere i più notevoli rendimenti in assenza di mare formato, ha certamente influenzato gli yachtsmen ed i progettisti. Un'altro fattore di preferenza per l'armo bermudiano è stato certamente la maggior facilità di manovra e la sua semplicità: una randa triangolare, con una sola drizza, agevole da ammainare e rizzare al corto boma in caso di riduzione o eliminazione per eventuali colpi di vento, da un equipaggio di numero ridotto.

 

Esaminiamo ora i vantaggi del vecchio e tradizionale armo aurico.
 

Questo si basa su una randa trapezoidale, distesa fra l'albero, piuttosto corto, un boma ed un picco. La sua efficienza è dovuta alla notevole superficie ottenibile, maggiore relativamente all'altezza dell'albero, rispetto a quella triangolare bermudiana. Il lato alto della vela è issato portando a riva il picco, mediante due drizze, una detta di gola, assicurata appunto alla gola dello stesso, che scorre lungo all'albero, ed una seconda drizza detta di penna, assicurata alla varea del picco, che permette alla vela di assumere la sua forma trapezoidale.

Questa vela in origine veniva issata lungo un albero relativamente corto e robusto, che non necessitava di crocette ed irrigidimenti con sistemi complessi di sartie e sartiole, pennaccini ecc. Era per lo più costituito da un semplice fusto in legno, un semplice palo, assicurato alle lande con un altrettanto semplice insieme di sartie e stralli, eventualmente da sartie volanti per trattenerlo verso poppa.

Il vantaggio di tale armo era soprattutto di tenere molto basso il centro di spinta delle vele, e pertanto la coppia di sbandamento della barca, permettendo, così, di tenere a riva più vela anche quando il vento rinforza, guadagnando perciò anche in velocità su barche armate alla bermudiana, costrette a ridurre tela molto prima che con l'armo aurico. Altro vantaggio sul bermudiano, la maggior potenza ottenibile nelle andature portanti, senza dover ricorrere a spinnaker, fiocchi da lasco e altre vele inventate, appunto, per supplire alla scarsa potenza della vela triangolare bermudiana, a queste andature.
Inoltre l'armo aurico permette, con scarsità di vento, l'uso di una efficientissima controranda, costituita da una vela triangolare da sovrapporre alla randa, fra il picco e l'albero, (o alberetto sovrapposto all'albero). Altro vantaggio della vela aurica, è lo scarso sbandamento della barca che agevola sensibilmente la manovra all'equipaggio, creando una piattaforma più agibile sulla quale muoversi, con minor pericolo di essere sbalzati fuori bordo.

Come abbiamo anzidetto, la vela ha subito notevoli miglioramenti di efficienza e facilità di manovra negli anni fra i '20 ed il momento attuale. Anche per l'adozione di nuove tecnologie e materiali.

Questi progressi sono stati apportati esclusivamente all'armo bermudiano, il più usato nel campo agonistico, ed ora anche in crociera.
L'anno aurico, per contro, è rimasto quale era nella tradizione ottocentesca, utilizzato solo su barche destinate all'amante della vecchia marineria, spesso molto più "marinaio" del moderno velista.
E' facile immaginare cosa avrebbe potuto esser apportato in migliorie di efficienza e comodità di manovra, se il medesimo impegno fosse stato rivolto verso l'arino aurico.
Conservando le doti di efficienza di questo antico sistema velico, e apportando il patrimonio di esperienza e di tecnologia attuali, esso potrebbe venir portato a efficienze paragonabili a quanto oggi si vede e va per mare. Vogliamo menzionare l'introduzione di winch studiati per alleviare molta della fatica dell'equipaggio e il numero dello stesso, l'impiego di materiali più leggeri, il taglio delle vele, che potrebbe sfruttare le migliori conoscenze ricavate dalla esperienza aeronautica, i tessuti sintetici, ecc.
E' senz'altro vero che la vela bermudiana ha un rendimento maggiore, a parità di superficie velica, di quella aurica. Ma si deve considerare che la riduzione della detta superficie è solo un vantaggio nell'ambito delle formule di compenso per la regata. Se l'armo bermudiano è avvantaggiato nelle andature di bolina stretta, non lo è affatto, se non con l'ausilio di grandi e scomodi spinnaker, per le andature portanti.
Vediamo oggigiorno, che per certe classi da regata, non ultimo esempio la "Coppa America", si è adottata una randa steccata che ha una forma molto vicina a quella di una aurica con sovrapposta la controranda. Sono vele efficientissime, certamente più del tradizionale bermudiano. Sono però rande sprovviste di sistemi per ridurre vela (terzaroli), delicate (quante stecche abbiamo visto spezzate nelle ultime regate della "Coppa America"), certamente inadatte per la crociera.

E' un fatto che la randa aurica, provvista della sua controranda, è forse la più efficiente a tutte le andature, esclusa la bolina strettissima, nel qual caso la randa bermudiana permette di stringere il vento qualche grado di più. Diciamo qualche grado: questo può essere importante in regata, ma dà un vantaggio irrisorio in normale navigazione, quando un armo aurico può dare rendimenti superiori a tutte le altre andature, senza l'ausilio delle complicazioni di cambiamento di fiocchi, ingombranti e complicati spinnaker e loro relative attrezzature (tangoni, scotte, bracci, amantigli, caricabassi ecc.).

Un normale equipaggio familiare si troverà certamente meglio, senza ingombrare tutto il gavone di prua con vele per i cambi a seconda del vento e dell'andatura, con un semplice armo aurico.

Forse è venuto il tempo di riprendere in considerazione il buon, semplice, pratico e sicuro armo aurico, dedicandogli un po' dello studio e dell'esperienza dedicati al suo successore armo bermudiano o marconi. Dobbiamo riprendere a conoscerlo e migliorarlo, pur conservandone le caratteristiche tradizionali di semplicità e solidità, che ne avevano fatto la vela principe, dopo secoli di evoluzione, dalla vela quadra alla latina, a quella al terzo ed al quarto.